Ho deciso, basta. Non mi interessano le “prospettive di carriera”, gli “sviluppi professionali” che mi assicura il mio capo. Sviluppi per chi? Prospettive per cosa? Per me o per lui? O per l'azienda? Per me no di certo, dato che lavorare in questo ufficio (o meglio, acquario) limita ogni forma di creatività e di curiosità. Penso che CI vogliano plasmare così, così ci lamentiamo ma non cambiamo nulla. Ma penso che, tutto sommato, la mia creatività sia tutt'altro che limitata, perchè ogni giorno cerco di aprire porte per il mio cambiamento, per voltare finalmete pagina.
Negli ultimi anni ho capito che i miei bisogni, le mie necessità, sono piuttosto ridotte. Perchè, quindi, lavorare per crearne delle altre? Sento di volere una vita semplice, in un posto semplice, lavorando quel tanto che basta per vivere un'esistenza dignitosa, producendo ciò che è necessario a soddisfare i bisogni quotidiani. Sono un neohippie? Non lo so, le etichette non mi sono mai piaciute. Leggo il libro di Fukuoka che ho tra le mani: "... più l'essere umano ingrandisce la mole delle sue attività e del suo lavoro, più il suo spirito e il suo corpo si disperdono e si allontanano dal svolgere un'esistenza moralmente soddisfacente". O anche “Vivere non è altro la conseguenza dell'essere nati... Il mondo che c'è è tale che se la gente mettesse da parte la propria volontà umana e invece si lasciasse guidare dalla natura non ci sarebbe nessuna ragione per aver paura di morire di fame”.
Spesso rifletto su cosa rappresenti il concetto di "lavoro": sono convinto che esso debba mutare al più presto, perchè così com’è il sistema non regge. Non è possibile che ci sia gente che lavora come matta, più delle "otto ore al giorno", scontenta, pensando forse che in questo modo le sia garantita la sopravvivenza, senza coltivare un hobby o una passione e, contemporaneamente, ci sia una fetta di persone che perde il lavoro, che non riesce a trovarne uno nuovo, convinta che il solo fatto di lavorare garantisca loro la dignità. Dove sta la verità?
Ho deciso, basta, è ora di comunicare la mia decisione. Darò le mie dimissioni in grande anticipo, correttamente, per rispetto verso coloro che, nonostante tutto, hanno permesso di pagarmi l'affitto del tetto sotto cui scrivo queste mie riflessioni. M'immagino già i commenti di molti, i consensi di pochi. A settembre faccio le valigie, non so ancora per dove, lo scoprirò quando sarà tempo. Ho voglia di vivere, conoscere, provare, sbagliare, rialzarmi e riprovare. Fare. Mi rimetto in cammino, in libertà, senza perdere ulteriore tempo. Seguirò la strada che mi condurrà al ritorno nella natura.