martedì 28 agosto 2012

La Bolivia vieta il consumo di Coca Cola


Si tratta di una decisione quanto mai gradita quella del presidente della Bolivia, Evo Morales. Già noto alle cronache come fervente oppositore del capitalismo ed in particolare di quello made in USA, ha annunciato che dal 21 dicembre 2012 la vendita della Coca Cola sarà vietata nel Paese. La data non è stata scelta a caso, si tratta della data che corrisponde alla “fine del mondo” del calendario Maya, o per alcuni, la data di una “rinascita globale”.
Il ministro degli Esteri David Choquehuanca ha dichiarato che “Il 21 dicembre 2012 sarà la fine dell'egoismo, della divisione. Quel giorno segnerà anche la fine della Coca-Cola e l'inizio del Mocochinchè (tipica bevanda tradizionale del posto a base di nettare di pesca). Tutto questo, per amore di Pachamama, la nostra Madre Terra”.

La decisione è stata presa alla luce di diverse considerazioni. Innanzitutto ha un forte contenuto simbolico ed etico: il Gruppo Coca Cola ha una fama controversa in Sud America a causa di una lunga storia di sfruttamento dei lavoratori, d’inquinamento e pressioni politiche.
C’è anche una componente economica molto forte. In primo luogo, Morales mira a preservare la coltivazione di foglie di coca dall’ingerenza straniera, che vorrebbe industrializzare la materia prima in beni di largo consumo. La costituzione promulgata da Morales nel 2008 definisce, infatti, la coca "patrimonio culturale della Bolivia" e "fattore di coesione sociale". In secondo luogo c'è l'interesse a commercializzare prodotti locali simili alla Coca-Cola: un anno fa fu lanciata la Coca Colla, bevanda prodotta localmente a partire dalle foglie di coca, che prendeva il nome dalle “Collas”, popolazioni indigene andine. Ma l'esempio più lampante è rappresentato dal Perù, dove spopola da tempo l' Inka Cola, diffusasi in molti paesi dell'America Latina e venduta persino nei supermercati statunitensi. Per cui l'uscita di scena della nota bevanda nordamericana potrebbe lasciare spazio ai prodotti locali, anche alla luce del trend positivo consolidato degli stessi da alcuni anni.
Quale che siano le motivazioni alla base della scelta di vietare il consumo di Coca Cola in Bolivia - politiche, sociali, economiche - non bisogna dimenticare la salute: questa bevanda provoca grossi danni alla salute, il contenuto zuccherino è altissimo e molti la indicano quale causa di infarti ed ictus.

Non so se questa decisione comporterà una "rinascita" dei boliviani: certo è, che io, nel mio piccolo, esulto.

Fonte: Il Cambiamento

lunedì 27 agosto 2012

Nicholas Georgescu-Roegen: Bioeconomia - Verso un'altra economia ecologicamente e socialmente sostenibile

Per coloro che vogliano approfondire i temi della Decrescita, consiglio questo libro straordinario scritto da uno dei precursori del concetto di Decrescita, Georgescu-Roegem, economista rumeno e fondatore della teoria bioeconomica.

Il libro riprende le varie conferenze condotte da Georgescu-Roegem nel corso degli anni Settanta ma tocca temi, come vedremo, quanto mai attuali. 

La teoria bioeconomica critica ferocemente gli status quo della teoria economica convenzionale, secondo cui la crescita sia illimitata, e giudica insostenibile la rappresentazione ciclica del processo economico, ossia che la domanda stimoli la produzione e quest'ultima a sua volta stimoli nuova domanda all'infinito. La teoria bioeconomica dimostra che il mondo è, al contrario, fisicamente limitato e soggetto al processo entropico.

Due sono le alternative auspicate dall'Autore: una qualche catastrofe planetaria che provochi una revisione delle preferenze; una profonda revisione delle preferenze di ciascuno che possa evitare la catastrofe. Affinché sia quest'ultima a verificarsi molto dipenderà dalla capacità che avremo nel produrre beni relazionali, senza aumentare – anzi riducendo drasticamente – il consumo di materia ed energia. Per beni relazionali si intendono quelli derivanti dall'economia informale, solidale, che scambia beni e servizi in un contesto di riequilibrio della ricchezza. Viene da pensare che 40 anni dopo non ci siamo ancora riusciti, anche se ultimamente si può notare un (lento) cambiamento del paradigma...
All'interno sono, poi, approfonditi concetti di grande interesse quali la ricollocazione della ricchezza, l'ineguaglianza sociale, la psicologia e le scienze sociali, l'angoscia e la paura della morte, l'alienazione sociale, il legame tra consumo e lavoro, .... da leggere.

Il libro "Bioeconomia - Verso un'altra economia ecologicamente e socialmente sostenibile", Editore Bollati Boringhieri, è meravigliosamente curato da Mauro Bonaiuti, ed è disponibile al seguente link.


venerdì 24 agosto 2012

Birra: meglio artigianale (e bio)


La birra è buona, piacevole e salutare. Nata intorno al 4000 a.C. e migliorata con l'aggiunta del luppolo nel corso del Medioevo, è costituita da solo quattro ingredienti: acqua, malto d'orzo, luppolo e lievito. Da sempre diffusa nei paesi del Nord Europa, col passare del tempo si è affermata anche in Italia.
La preparazione della birra è standard: si parte dalla germogliazione dell'orzo, che trasforma gli amidi in zuccheri. Segue la macinazione, la bollitura e l'aggiunta di luppolo. Questo ingrediente conferisce l'amaro e l'aroma alla birra, oltre a stabilizzare la schiuma
L'ultimo passaggio prevede l'aggiunta del lievito, che trasforma gli zuccheri in alcol e anidride carbonica. A seconda del tipo di lievito vengono prodotte tipologie di birra differenti. Le birre ad alta fermentazione (ale) sono prodotte con il lievito Saccaromyces Cerevisiae razza fisiologica Cerevisiae, attivo a temperature più alte, dai 15° ai 25 °C. Le birre a bassa fermentazione (lager), le più diffuse, sono prodotte con il lievito Saccaromyces Cerevisiae razza fisiologica Uvarum, attivo a temperature più basse, dai 6 ai 10 °C (Fonte: Lalupagolosa.it).

Nel corso degli ultimi anni si è affermato il consumo di birra artigianale, che si distingue da quella industriale per l'assenza di due processi industriali, chiamati filtrazione e pastorizzazione. La prima rende il prodotto meno torbido ma meno caratteristico. La seconda favorisce sì la conservazione a temperatura ambiente per molti mesi ("a scaffale") ma a discapito del sapore e delle proprietà nutrizionali. La mancata pastorizzazione permette, quindi, di mantenere le caratteristiche e le peculiarità della singola birra, garantendo il piacere di gustare la bevanda a distanza di mesi e notare sfumature aromatiche differenti. La conservazione della birra artigianale è, comunque, garantita dalla presenza dell'alcol e del luppolo.
Altra differenza rispetto alla birra industriale è l'assenza di componenti dannosi come l'anidride solforosa, causa di possibili reazioni allergiche e crisi asmatiche.

Personalmente, da un paio d'anni produco la mia birra fatta in casa. Il risultato è - modestamente parlando - eccellente. In più mi diverto durante la preparazione, mi dà soddisfazione berla con famigliari ed amici, è economica ed è sana. Prossimamente però cercherò di procurarmi gli ingredienti (materie prime) di provenienza biologica. E' questa l'ultima frontiera della birra artigianale.

Proprietà delle birre artigianali (non pastorizzate): destrine, proteine complete, sali minerali, carboidrati, fibre solubili, potassio, basso livello di sodio. Diuretica, digestiva, dissetante e rinfrescante (Fonte: Terra Nuova - Luglio/Agosto 2012).

Proprietà del luppolo
: toniche, nervine e digestive. Per uso interno il suo infuso aiuta a combattere l'insonnia, i dolori mestruali e ad alleviare i disturbi premestruali e della menopausa. Per via esterna è utile in preparati per pelli rugose e per le infiammazioni cutanee (Fonte: Erbe8m.com).

Earth Overshoot Day: da ieri siamo in debito col Pianeta



Probabilmente avrete già letto su "La Stampa" di oggi: l'umanità ha superato se stessa quest’anno, esaurendo in poco più di otto mesi le risorse che il pianeta ha potuto fornirle - e sostenere - nell’anno 2012. Il 22 agosto è, infatti, il Earth Overshoot Day: da oggi stiamo consumando a debito, intaccando, cioé, il “capitale” naturale non rigenerabile. Stiamo esaurendo le scorte di risorse ed accumulando anidride carbonica nell'atmosfera.
Non c’è il più minimo dubbio che occorra cambiare modello di sviluppo, a partire dall’economia e dalla produzione agricola e industriale. 
Il nostro eccesso di "spesa" ecologica è diventato un circolo vizioso, in cui ci avviciniamo sempre di più verso il basso, portando all’estremo delle forze il nostro Pianeta, ma, allo stesso tempo, il nostro livello di consumo procapite, cresce. I costi sociali ed economici saranno sempre più sconcertanti.
Come dice Wackernagel, presidente di Global Footprint Network, “se vogliamo mantenere società stabili e vite produttive, non possiamo più sostenere un deficit di bilancio crescente tra ciò che la natura è in grado di fornire e quanto le nostre infrastrutture, economie e stili di vita richiedono".
Nel corso della storia, l'umanità ha utilizzato le risorse della Natura per costruire strade e città, per consumare cibo e creare prodotti. La CO2 generata dalle attività umane era sostenibile per il Pianeta. Era il 1970, eravamo 3,5 miliardi di persone, e dall’ora abbiamo iniziato a superare la soglia critica. La pressione verso i consumi ha portato il superamento, da allora il Pianeta non è riuscito a stare al passo rinnovando le proprie risorse, ed è iniziata la crisi ecologica.
Così oggi l'umanità sta utilizzando l'equivalente di più di una Terra e mezza per risorse e servizi ecologici. Se le attuali tendenze rimarranno invariate, nel 2050 saranno necessarie due Terre per mantenere i nostri livelli di consumo.
Global Footprint Network si sta mobilitando presso organizzazioni, istituzioni governative e finanziarie affinchè i limiti delle risorse siano riconosciuti e posti al centro del processo decisionale. A questi ritmi le attuali risorse non possono soddisfare le esigenze di 7 miliardi del pianeta, popolazione in continua crescita. Circa due miliardi di persone non hanno accesso alle risorse necessarie per soddisfare i loro bisogni di base. E milioni di persone delle economie emergenti si stanno portando nella classe media, per cui il deficit non può che essere destinato ad aumentare.
La Cina ha l’impronta ecologica (Ecological Footprint) maggiore, ma a livello procapite il livello è modesto (per ora). Al contrario degli USA, che ha passato il proprio Overshoot Day il 28 marzo 2012! Se tutti noi consumassimo come gli statunitensi, oggi ci servirebbero quattro Pianeta Terra. In Quatar sei e mezzo.
Chi volesse misurare il proprio impatto ambientale per migliorare il proprio stile di vita in un’ottica di minori sprechi, lo può fare con il calcolatore messo a disposizione sul sito. 
Cliccate qui e compilate il questionario (anche in italiano).